Gli «Uffici propri» di Santa Corona ottenuti a furor di popolo
Nel 1828, i canepinesi obbligarono il clero locale a chiedere il «privilegio»
concesso mesi prima da papa Leone XII a San Vittore, patrono di Vallerano
UNA STORIA AL GIORNO… TOGLIE IL VIRUS DI TORNO
CANEPINA – Da quasi due secoli, il 14 maggio, durante le messe celebrate nelle chiese di Canepina, è possibile sostituire i canti, alcune letture e varie preghiere previste dalla liturgia «ufficiale» con gli «Uffici propri di Santa Corona», cioè con testi che riguardano la vita e le opere della santa, nonché con invocazioni a lei dirette. Una facoltà concessa da papa Leone XII al clero del paese nel 1829. A chiedere il «privilegio» al pontefice erano stati, durante l’estate, i dodici canonici e l’arciprete della Collegiata Santa Maria Assunta, per placare un crescente malumore popolare. Ma a cosa era dovuto il borbottio continuo dei canepinesi, che dal maggio precedente aveva iniziato a guardare un po’ di traverso i lori molti preti? Semplice: era arrivata in paese la voce che a San Vittore Martire, patrono della vicina Vallerano, su richiesta del clero locale, erano stati concessi gli «Uffici propri». Apriti cielo: «A San Vittore sì e a Santa Corona no» dissero risentiti i canepinesi. «È un’ingiustizia, anche perché i due santi furono martorizzati insieme». Visto che il malcontento continuava serpeggiare e a insinuarsi tra un numero crescente di fedeli, i canonici si misero all’opera e prepararono tutto ciò che serviva: «…inni, versetti, antifone, l’introito, la secreta e la preghiera post comunione» e quant’altro servisse alla bisogna. Infine, inviarono una delegazione in Vaticano a consegnare il voluminoso «dossier», nel quale, tra l’altro, spiegavano anche le ragioni per cosi dire di ordine pubblico della loro richiesta.
A testimoniare che la situazione non era affatto tranquilla, anche se non ci furono vere e proprie proteste pubbliche, c’è una nota scritta dal comandante della brigata delle guardie pontificie di Canepina, il brigadiere Aldo Donetti, con la quale informa l’Arciprete Nicola Ribichini (zio del prete garibaldino Felice Ribichini, ndr) che «… fonti confidenziali riportano numerose lamentele contro il clero canepinese, a loro dire reo di non aver provveduto a richieder gli Offici Propri per la nostra principale Santa Protettrice».
Il 27 settembre 1828, la Congregazione dei Sacri Riti esaminò la «pratica» e, a metà ottobre, l’esito arrivò a Canepina. «Poiché il popolo del Castello di Canepina, della Diocesi di Orte unita alla Diocesi di Civita Castellana – diceva la missiva inviata all’Arciprete – ha accolto come propria patrona presso Dio Santa Corona Martire, e poiché questa fu martorizzata insieme con San Vittore, è sembrata cosa congrua che, come già è stato concesso l’Ufficio Proprio per San Vittore in seguito alle richieste del vicino clero di Vallerano, così lo stesso fosse concesso per Santa Corona, avendone il Clero di Canepina fatta richiesta ed essendo consenziente il Reverendo Vescovo. E così, nella riunione ordinaria della Congregazione dei Santi Riti, presso il Vaticano, fatta il giorno notto indicato, dopo aver passato in rassegna inni, versetti, e antifone per quanto riguarda l’Ufficio e per quanto riguarda la Messa l’Introito, la Secreta e la preghiera post comunio, esaminati poi questi stessi secondo una relazione dell’eccellentissimo e reverendissimo Cardinale Benedetto Naro, ed approvati, gli eminentissimi e reverentissimi padri preposti ai Sacri Riti, ascoltato prima Virgilio Piscitelli, Promotore della Fede, approvarono tutto, e fu concesso che potesse esser letto e recitato dal clero di Canepina nell’Ufficio Proprio di Santa Corona Martire. Si era nel giorno 27 del mese di settembre del 1828». La lettera è firmata dal Cardinal De Somaglia, Prefetto della Congregazione per i Sacri Riti.
Una seconda missiva, firmata dal Cardinal Falzacappa, diceva: «Premessa poi una relazione da parte mia, in qualità di segretario della Congregazione dei Sacri Riti, e presentata al nostro Santo Padre, Leone XII, Sua Santità benignamente approvò alle kalende di ottobre (1° ottobre, ndr) dello stesso anno».
I canonici suonarono le campane a festa per dare l’annuncio ai canepinesi accorsi nella Chiesa Collegiata. Poi fecero stampare dei manifesti in cui erano riportati, in latino, gli Uffici Propri di Santa Corona, che furono recitati per la prima volta il 14 maggio successivo. Per i fedeli non cambiò praticamente nulla visto che erano letti nella «misteriosa» lingua latina. Ma per loro quel che contava era «nun essa remasti dereto e valleranesi».
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.