I tumulti per la casa negli anni Venti a Canepina
La popolazione scese più volte in piazza contro la carenza di abitazioni,
da lì partì l’irrefrenabile devastazione del cosiddetto Castello Anguiallara
UNA STORIA AL GIORNO… TOGLIE IL VIRUS DI TORNO
CANEPINA – Prima una doverosa premessa: quello viene comunemente chiamato Castello degli Anguillara, diventato un po’ il simbolo di Canepina, non è mai stato un castello e tanto meno è appartenuto alla famiglia Anguillara. O meglio, un ramo secondario dell’antica e potente famiglia ha posseduto due porzioni dell’immobile: una portata in dote da Anna Cecilia Petti di Canepina, rampolla di una ricchissima famiglia, che nel 1754 sposò Giacomo IV Anguillara, nato e residente a Blera. Alla fine del 1700, gli Anguillara rimasti a Blera vendettero tutti i loro beni e si trasferirono anche loro a Canepina. Fissarono la loro residenza nell’immobile costruito nel corso del 1500, a ridosso della parte posteriore della torre principale del cosiddetto castello. Fu allora che lo stemma di famiglia fu apposto all’ingresso dello stabile. Quindi, gli Anguillara possedevano due appartamenti: uno nella parte più antica del castello, l’altro nell’ala successiva. Loro era anche il giardino e il lungo viale alberato antistante il ponte che immette nella torre principale. Nel 1865, Giuseppe Anguillara e i figli Carlo e Luigi vendettero la loro casa e una parte del giardino a Vincenzo Ribichini, segretario comunale e notaio di Canepina, che aveva sposato una loro cugina, Clara Anguillara. Subito dopo si trasferirono a Tuscania, dove la famiglia s’estinse negli anni Cinquanta del secolo scorso. A Canepina, restarono solo don Giacomo Anguillara e la sorella Clara, sposata Ribichini. Ovviamente il sacerdote non poteva avere figli, almeno ufficialmente. Quando egli morì, nel 1894, lasciò il suo appartamento nella parte vecchia del castello e la sua quota di giardino all’unico nipote maschio che aveva, Lorenzo Ribichini, figlio di sua sorella. Quest’ultimo, nel giro di pochi anni dilapidò il patrimonio dello zio e quello del padre, tanto che nel 1908 fu costretto a vendere al professor Giacomo Rem-Picci tutti i suoi possedimenti per 25mila lire. Un inciso: non incassò nemmeno un centesimo poiché l’acquirente utilizzò le 25mila lire per saldare tutti i suoi debiti. Così, dopo circa un secolo e mezzo, anche gli Anguillara di Canepina s’estinsero. Nello stabile chiamato castello abitavano anche altre famiglie, così come a diversi proprietari appartenevano i locali al pianoterra o interrati, adibiti a scopi vari.
L’immobile, come detto, non è nemmeno mai stato un castello. La torre maggiore, quella più piccola, un’altra che si trovava più in basso, quella di via Porta Piagge e quella che si ergeva in via Castello, distrutta dal bombardamento del 1944, intervallavano le mura castellane e facevano parte del sistema difensivo medievale del paese. Addosso al tratto di mura tra la torre maggiore e quella più piccola, nel corso del 1300 furono addossati degli immobili, «le stanze degli offiziali», «il casalenum del magister» eccetera, trasformando il complesso in un simulacro di castello. Fino alla seconda metà del 1700, sul versante di via Soriano non erano ancora state aperte le finestre.
Nel 1924-1925, a Canepina, dove i fabbricati costruiti nei decenni precedenti erano pochissimi, scoppiò una grave crisi abitativa. Le case disponibili erano state frazionate fino a renderle piccolissime e sovraffollate. C’erano famiglie di cinque, sei, sette persone che abitavano in pochi metri quadrati, senza acqua, corrente elettrica e gabinetto. Una situazione insostenibile che sfociò in varie manifestazioni di piazza, alcune delle quali non proprio pacifiche. Allora, il Comune, d’accordo con gli enti benefici del paese, decise di acquistare i tre appartamenti che il professor Giacomo Rem-Picci aveva rilevati dagli ultimi epigoni degli Anguillara, dividerli e ricavarne diverse case. Altri alloggi, di proprietà delle confraternite furono reperiti in via Vallerio (oggi XX Settembre), via Torrione, via Porta Piagge. Per perfezionare l’iter di acquisto, di frazionamento e l’assegnazione passò oltre un anno e mezzo. Nel frattempo, le persone che vivevano in veri e propri tuguri, scesero almeno altre due volte in piazza. I carabinieri e la milizia fascista dovettero chiamare i rinforzi dai paesi vicini per contenere i manifestanti. Poi, con le prime assegnazioni la situazione si placò, anche perché il regime non avrebbe tollerato altre proteste di piazza.
Se da una parte l’operazione riuscì ad acuire l’impellente bisogno di case, dall’altra dette il là alla progressiva devastazione del cosiddetto Castello Anguillara, che al di là della denominazione, era composto da due torri e dalle mura castellane del 1200-1300, e una serie di edifici di varie natura e fogge eretti fino al 1500 inoltrato. Illuminante in questo senso è quanto scrisse Enea Cianetti, funzionario della Soprintendenza alle Belle Arti, sposato con una canepinese, che trascorreva un paio di mesi l’anno in paese, soprattutto d’estate. «… nonostante sia stato sottoposto a vincolo dal 23 settembre 1926 – scrisse Cianetti alla Soprintendenza -, il Castello è stato pesantemente manomesso in specie con aggiunte di scalinate per accedere ai singoli appartamenti, l’apertura di porte. Ognuno dei condomini – aggiunse – si credette lecito di fare, nel corpo del fabbricato, tutti quei lavori che ritenevasi utili, poiché le amministrazioni comunali succedutesi non esercitavano i dovuti controlli, o autorizzavano lavori che, sotto la parvenza di manutenzione, alteravano sempre più l’aspetto esteriore, le manomissioni continuarono indisturbate».
Poi un’annotazione che la dice lunga su quale fosse l’andazzo: «Singolare però e il fatto che – sottolineo Cianetti -, dopo la diffida prefettizia del febbraio 1927 al Comune di Canepina, questo abbia continuato a tollerare lavori sempre più danneggianti; né sarebbero concepibili attenuanti, quando si pensi che l’ultimo Podestà è proprio un condomino del Castella». Infine, Cianetti indicò dettagliatamente le manomissioni compiute nell’ultimo anno: «Nel sopralluogo di ieri, limitatosi a una sommaria verifica esterna, è emerso: feritoie distrutte per aprire finestre; antichi imbotti in peperino rimossi dalle finestre (per esser venduti?); una porta aperta alla base del muro di levante; una deturpante sovrastruttura di vecchi assiti addossata alla torre più alta. Ma la cosa più grave è che, senza permesso di chicchessia è stata aperta una ampia finestra verso il paese, stabilendo così il primato delle più recenti manomissioni. Un altro condomino ha aumentato la dose aprendo una finestra nella torre alta e lesionata ed ha appoggiato una scalinata tutt’altro che intonata. Infine – concluse -, in detta torre il comune ha autorizzato l’istallazione esterna di una deturpante condotta idrica…».
Beh, non è che le cose siano poi così cambiate…
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