Chi viveva tra il Rio Cornienta e il Rio Maggiore
prima della fondazione di Canepina (parte seconda)
Secondo l’archeologo Ugo Antonielli, i reperti in contrada Mignone risalgono
all’Età Imperiale, cioè tra il 27 a.C. e il 395 d.C., e sono stati realizzati dai Falisci
UNA STORIA AL GIORNO… TOGLIE IL VIRUS DI TORNO
CANEPINA – Il professor Ugo Antonielli, accademico dei Lincei, agli inizi del secolo scorso compì un sopralluogo a Canepina, su invito del professor Giacomo Rem-Picci, per svelare il mistero di numerosi manufatti (vasche per macerazione di vegetali) in contrata «Mignore» e nelle immediate vicinanze. Dopo aver descritto dettagliatamente tutti i bacini e le vasche individuate (vedi numero precedente), passa ad analizzare le ragioni per le quali furono realizzate e, soprattutto, l’epoca cui risalgono. Ecco il testo della seconda parte della sua relazione, pubblicata negli «Atti della Regia Accademia dei Lincei, Volume L (XXII della serie V) fascicoli 1°, 2°, 3° (Notizie degli scavi di Antichità)».
«Ma qual è il fine preciso per cui si costrussero le vasche descritte? Per quali ragioni esse si trovano raggruppate nei limiti di quella località? E qual è il tempo cui rimanderebbero? Lo scopo agricolo è il primo che ci si presenta, ed è il più acce
ttabile. Con lo stesso professor Rem-Picci, amante dei nostri studi ed esperto conoscitore della regione Cimina, ho esaminato diverse ipotesi. Benché i contadini del luogo pongano oggi in uso una delle vasche per pigiare le uve, l’idea che le medesime abbiano in antico servito allo stesso uso, è da scartare. La media elevata delle quote altimetriche della regione boschiva sotto il Cimino e il Matterone ci fa escludere che la vite possa avere rappresentato una produzione importante. Anche oggi al vite è coltivata scarsamente in basso, nel fondo delle vallette o sulle pendici ove si trovano a favorevole altitudine. Si potrebbe allora pensare che le vasche fossero state adibite per il bagno e la purificazione delle castagne, la cui produzione è ancora oggi importantissima; l’operazione ora detta richiede appunto qualche giorno di grande cautela per riprodurre l’umidità necessaria. A tal fine ben si adatterebbero i praticati fori di scolo. Il numero rilevante di recipienti, accentrati nel luogo, si spiegherebbe facilmente ammettendo la presenza in antico su quell’altura di un centro rurale di raccolta e di esportazione. Ma se questa è attualmente fatta su grande scala, data la facilità moderna dei mezzi di comunicazione, così non poteva essere stato anticamente; inoltre oggi per il bagno occorrente alla castagne si usano mezzi assai più semplici.
Un’altra idea maggiormente sorride. Se ci riferiamo ai ricordi tramandatici notiamo che il contiguo Agro Falisco, oltre che per le bellezze naturali ed altri prodotti, era in tempi romani celebre per la fabbricazione di tessuti di lino: vegetale questo, coltivato e lavorato fin dai tempi preistorici largamente in Etruria. In verità, per ottenere il linum maceratur sono quanto di più economico possa immaginarsi. Dal lino alla canapa il passo è assai breve; a questo proposito ricordiamo che, come si è ragionevolmente supposto, il nome del paese «Canepina», la cui origine è recente, rimontando l’abitato ai tempi medievali, trae motivo appunto dalla lavorazione della canapa, fiorente in passato secondo il ricordo dei vecchi, e tuttora filata, benché oramai la vecchi industria sia moribonda a causa del commercio moderno. Nulla quindi è più verosimile che supporre l’esistenza in antico, sull’altura più volte ricordata, di una«fattoria» nella quale si accentrava il lavoro di macerazione del vegetale (lino o canapa) coltivato largamente nelle vallette sottostanti e circostanti. Non può sorprenderci il pensiero della dura fatica e del tempo impiegati per la trasformare i massi e i blocchi naturali nei descritti bacini e vasche; la mano d’opera servile e il fatto che col paziente lavoro si otteneva un durevole mezzo per facilitare l’industria sono elementi esplicativi più che sufficienti. Il costume, soprattutto nei paesi vulcanici, di adattare a vari fini e con opportune escavazioni ciò che spontaneamente è offerto dalla natura ha una larga documentazione.
Il caratteristico gruppo di vasche canepinesi ci spinge a ricordare anzitutto i famosi «massi avelli» della regione comense, illustrati compitamente con rara dottrina dal Magni; ma qui trattasi di utilizzazione di massi a scopo funerario. Nelle regioni vulcaniche dell’Italia Centrale, in Etruria e nel Lazio, non mancano degni esempi di escavazione per scopi agricolo-industriali; e ultimamente feci conoscere un gruppo di «fosse da vino» scavate nel peperino sul monte Crescenzo. Al riguardo dobbiamo aggiungere anche altre escavazioni, fatte sempre in peperino, ricordate e studiate dal Magni, sulle rive del lago di Albano, tra Albano e Palazzolo, e consistenti in due sepolcri accostati e un interessante gruppo di vasche vinarie, o«torcularia», che avrei dovuto ricordare nella mia nota citata. Riparo così alla omissione.
Tornando al nostro numeroso gruppo canepinese, sulla cui precisabile destinazione mi sembra di aver detto abbastanza, rispondiamo alla terza domanda: qual è il tempo cui attribuire le modeste «antichità rurali»? Benché le reliquie siano in sé per sé assolutamente mute, tuttavia, per facili considerazioni e con confronto delle memorie tramandateci dall’Agro Falisco, mi sembra quasi indubitabile pensare ai tempi romani. Ci troviamo dunque di fronte a una testimonianza monumentale, sia pure rudemente modesta, dell’attiva vita dei campi che si svolgeva pacificamente non lungi dalle porte della città imperiale».
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