Due capolavori misconosciuti nella chiesa del Carmine
UNA STORIA AL GIORNO… TOGLIE IL VIRUS DI TORNO
CANEPINA – È opera di un raffinato scultore nonché allievo prima e stretto collaboratore poi di Gian Lorenzo Bernini, il busto di Padre Angelo Menicucci collocato in una nicchia sul lato sinistro dell’ingresso principale della chiesa del Carmine, già Santa Maria del Fossitello, impropriamente chiamata San Michele Arcangelo. Si tratta di Giuliano Finelli, figlio di Domenico, mercante di Marmi, e di Maria Cassione, nato a Massa tra il 1602 e il 1603. Non si conoscono né il giorno né il mese. Allo stesso Finelli, o al suo ambito, potrebbe appartenere un’altra opera d’arte misconosciuta che si trova nella stessa chiesa: il monumento Funebre di Attilio De Nicolai, posto a sinistra del presbiterio. Sul lato opposto, invece, è sepolto il fratello Alberto.
Finelli, poco più che adolescente, si trasferì a Napoli presso lo zio Paterno, Vitale, scalpellino e marmorario e vi rimase circa due anni. Passò poi alla bottega napoletana di M. Naccherino, scultore fiorentino. Dopo un nuovo soggiorno presso lo zio Vitale, nel 1622 si trasferì a Roma, dove lavorò con S. Ghetti a una tomba nella chiesa di Santa Maria della Minerva. Qui fu notato da Pietro Bernini, padre del più famoso Gian Lorenzo, che lo volle nella sua bottega. Il Finelli, quindi, collaborò dapprima con Bernini padre, con il quale realizzò la tomba del cardinale Roberto Bellarmino nella chiesa del Gesù (1622-1625), per poi passare al fianco del figlio Gian Lorenzo per l’esecuzione di diverse sue opere: l’Apollo di Dafne della Galleria Borghese (1626-1628), la statua di Santa Bibiana nell’omonima chiesa romana (1624-1826), l’altare maggiore di Sant’Agostino (1626-1628) e il busto di Maria Barberini a Palazzo Sciarra. Finelli collaborò con il Gian Lorenzo Bernini anche alla copertura del baldacchino bronzeo e degli angeli posto sopra le colonne nella basilica di San Pietro (1628). Era al fianco del Bernini anche nella preparazione delle statue degli apostoli Pietro e Paolo per la balaustra dell’altare maggiore della stessa basilica.
Subito dopo i rapporti tra i due artisti iniziarono ad incrinarsi: Finelli riteneva che Bernini non gli riconoscesse appieno il ruolo da lui svolto. Così decise di mettersi “in proprio”. Restò un periodo a Roma, dove lavorò, tra l’altro, alla cappella Bandini di San Silvestro al Quirinale e al busto del Cardinale Ottavio Bandini. Suo anche il busto di Michelangelo Buonarroti il giovane (Firenze, Casa Buonarroti). Alcuni anni dopo aver lasciato la scuola del Bernini, Finelli si trasferì a Napoli con il suo pupillo e nipote Dominico Guidi. Ancora oggi è noto per i suoi ritratti e le sue tredici statue nella Cattedrale di Napoli.
Mentre si trovava a Roma, Finelli ottenne la commissione da parte dei Carmelitani di eseguire il busto di Padre Angelo Menicucci. Lo storico dell’arte Minna Heimbürger Ravelli ha pubblicato un lungo saggio sulla rivista accademica di belle arti The Burlington Magazine, intitolato «An Unknown Portrait Bust By Giuliano Finelli at Canepina» (Un busto sconosciuto di Giuliano Finelli a Canepina). The Burlington Magazine, fondata nel 1903, è la più longeva rivista d’arte in lingua inglese. Dal 1986 viene pubblicata da un’organizzazione benefica. È diretta dallo storico Michael Hall. Minna Heimbürger Ravelli, nel suo saggio, attribuisce con assoluta certezza il busto di Menicucci al Finelli attraverso i criteri comparativi propri degli storici dell’arte. Inoltre, ricostruisce i rapporti tra l’artista e vari ordini monastici, compresi i carmelitani. Rapporti che lo portarono ad ottenere la commessa. Padre Angelo Menicucci, al quale si deve il convento dei carmelitani di Canepina e la chiesa attigua così com’è oggi, ricoprì vari incarichi di prestigio nell’ordine. Tra l’altro fu a capo della provincia religiosa romana che, oltre all’intero Lazio, una parte dell’Abruzzo e dell’Umbria comprende anche il Libano, la Siria, la Turchia e il Brasile. Insomma, Menicucci era un’autorità. É quindi ragionevolmente presumibile che dopo la sua morte, i confratelli decidessero di assegnare a un artista importante la realizzazione del suo busto. E Finelli, in quel periodo, era uno dei più celebri autori di ritratti in marmo di Roma, quindi del Mondo
Come detto, tra le numerose opere d’arte conservate nella chiesa del Carmine, emergono i monumenti funebri di Attilio e Alberto De Nicolai, morti rispettivamente nel 1622 e nel 1624, posti ai lati del presbiterio. Le due sepolture, a forma di edicole, sono state costruite in peperino e presentano nella parte inferiore l’iscrizione funeraria, compresa tra due lesene ornate di gigli marmorei, emblematici riferimenti alla famiglia Farnese. Secondo il professor Giorgio Felini, storico dell’arte, il busto di Attilio De Nicolai, facoltoso commerciante di tessuti, forse cugino dello stesso Angelo Menicucci, morto all’età di 48 anni, è di grande pregio. «La scultura – scrive Felini -, pur limitandosi al solo busto di Attilio Nicola, riesce a definire con sapienza di mezzi tecnici e stilistici la dimensione umana del benefattore, colto nell’atteggiamento pensoso e raccolto di chi si appresta alla fatidica soglia dell’esistenza terrena, pronto a sottoporsi al giudizio e conscio dei meriti acquisiti. La definizione plastica, l’intaglio e la cura dei particolari – prosegue – uniti alla solennità dell’atteggiamento, spingono a collocare l’opera nell’ambito della scultura romana del primo Seicento, vicina a quella che si definirà in seguito attorno alla figura del Bernini; in linea soltanto ipotetica, per assonanze formali con la sua cospicua produzione, si può avanzare il nome di Giuliano Finelli, il giovane artista di Carrara che proprio nel 1622 era stato accolto nello studio romano del grande scultore barocco». Quindi le opere di Finelli a Canepina potrebbero essere due.
Il fratello di Attilio, Alberto, dopo aver fatto realizzare la sepoltura del fratello, continuò a frequentare con assiduità il paese d’origine. E proprio a Canepina morì il 26 settembre 1626, per un’accidentale caduta da cavallo. Fu sepolto di fronte al fratello, ma il busto di Alberto è profondamente diverso: «L’effigie – evidenzia il professor Felini – è rigida e carente nella caratterizzazione del personaggio: il defunto è infatti colto nel rigore della morte e la fissità dell’espressione, unita alla limitata definizione dei particolari, sembra suggerire la casualità del tragico evento. Le maestranze che eseguirono questo ritratto furono probabilmente locali, da ricercare nell’ambito degli scalpellini operanti nella Tuscia e impegnati in prevalenza nel settore della decorazione architettonica».
I De Nicolai furono grandi benefattori dei Carmelitani. Per la loro chiesa, tra l’altro, fecero realizzare le due grandi tele poste sopra le loro rispettive sepolture. Ad Attilio si deve il dipinto raffigurante la Natività del Signore, eseguito dal pittore romano Pompeo Caccini nel 1920. Il fratello Alberto, invece, nel 1626 commissionò al novarese Giovanni Battista Ricci la tela raffigurante lo Sposalizio della Vergine.
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