Quando il flagello della Spagnola s’abbatte su Canepina
Causò oltre 250 morti, pari al 10% della popolazione, tra cui molti bimbi Le troppe analogie con la situazione causata un secolo dopo dal Covid
CANEINA – «Mala tempora currunt» (Corrono cattivi tempi). La celebre frase del grande filosofo romano Marco Tulio Cicerone s’attaglia perfettamente alla situazione attuale. É come se l’umanità fosse entrata in una sorta di «macchina del tempo» e costretta a rivivere incubi che aveva già vissuto molte volte nella storia, l’ultima delle quali un secolo fa, quando alla Prima Guerra Mondiale seguì la pandemia d’influenza «Spagnola». Ormai da un anno, alla crisi economica globale, ai mutamenti climatici, alla rinascita dei nazionalismi, dei populismi, dei razzismi, degli imbecillismi in genere, s’è aggiunta la Pandemia di Covid-19. I parallelismi tra le due epoche sono inquietanti. Anche allora si diceva che la «Spagnola» fosse solo un raffreddore poco importante. Poi migliaia di persone iniziarono a soffrire di fortissimi mal di testa, difficoltà respiratorie, tosse, febbre alta. Per la maggior parte di loro l’esito fu fatale. Le misure adottate per contenere la pandemia suonano familiari: disinfezione e chiusura di spazi pubblici, teatri, scuole e confini. Come oggi furono creati ospedali da campo o reparti riservati agli infettati di «Spagnola» e praticamente in tutti i paesi avanzati fu introdotto l’obbligo di indossare le mascherine. Negli Stati Uniti le multe per chi non l’indossava ammontavano a 100 dollari. Una vera e propria fortuna.
Un’altra analogia con un secolo fa sono i cosiddetti «negazionisti», o i «no mask», anche se non si chiamavano così. C’erano e ci sono anche oggi quelli della «dittatura sanitaria». I più noti sono Rosita Celentano, l’attore Enrico Montesano, il giornalista Fulvio Grimaldi, il «filosofo» Diego Fusaro e compagnia cantando. Nessuno da cui vale la pena imparare qualcosa. L’unica via d’uscita è quella indicata dal mondo scientifico e dal buon senso: rispettare scrupolosamente le regole. Tutte.
I canepinesi, speriamo pochi, che appartenessero alla schiera dei «negazionisti», dei «no mask», della «dittatura sanitaria» e amenità connesse dovrebbero ricordare che nel settore più vecchio del Cimitero di Canepina c’è una striscia di terra larga alcuni metri, che costeggia il muro di cinta sul lato sud-ovest. Su di essa non ci sono né tombe né cappelle: solo poche croci in legno cadenti sparse qua e là. I canepinesi più anziani lo chiamano comunemente «e gambosando de’ mòrtarelli» (il camposanto dei piccoli morti). Lì, tra il 1918 e il 1920 furono sepolte le vittime della «Spagnola». Maschi e femmine di tutte le età, ma soprattutto bambini. Fu una vera e propria strage giacché la mortalità infantile, a Canepina come nel resto d’Italia, d’Europa e del Mondo, era già altissima. Tra l’altro su quella striscia di terra, 24 anni dopo, furono sepolte in fosse provvisorie le 115 vittime del bombardamento in attesa di essere traslate nelle tombe di famiglia.
Nel dicembre 1920 la pandemia di «Spagnola» poté dirsi finalmente sconfitta. Aveva imperversato in tutto il mondo per circa tre anni, contagiando, secondo i calcoli ritenuti più attendibili, mezzo miliardo di persone e uccidendone tra i 60 e i 100 milioni, su una popolazione mondiale complessiva di circa due miliardi di individui. Il divario sul numero delle vittime è dovuto al fatto che molti paesi colpiti non avevano né un vero sistema sanitario né anagrafi strutturate ed efficienti. L’influenza fu chiamata «Spagnola» perché la notizia della terribile infezione fu diffusa dalla stampa per la prima volta. Ma ormai il virus si era diffuso rapidamente in tutto il Pianeta. Non furono risparmiate nemmeno l’Australia, le isole dell’Oceano Pacifico e del Mar Glaciale Artico. L’altissima mortalità le valse la nefasta fama di più grave pandemia della storia dell’umanità poiché aveva fatto più vittime della terribile peste nera del XIV secolo e delle due guerre mondiali del XX secolo sommate.
La «Spagnola» e la Prima Guerra Mondiale, che aveva portato al fronte circa 500 giovani canepinesi, 45 dei quali morirono in battaglia o per le gravi malattie contratte nelle trincee o in prigionia, causarono una riduzione significativa della popolazione. Diminuzione che nemmeno il rientro di numerosi emigrazione dall’America riuscì a compensare. Sta di fatto che nel 1921, la popolazione era calata di 219 unità rispetto al 1915. Oltre il 10 per cento.
Non esiste una vera e propria statistica dei morti causati dalla «Spagnola» a Canepina. Il loro numero si può solo dedurre per approssimazione in base ad alcuni dati sull’andamento demografico. Nel 1915 i nati in paese erano stati complessivamente 98, in linea con gli anni precedenti (la media dal 1870 al 1914 era stata di circa 100 nati l’anno); nel 1916, anno dell’entrata in guerra dell’Italia, i nati furono solo 58; nel 1915 scesero a 55 per diventare 48 nel 18. Nel 1919 le nascite salirono lievemente arrivando a 62, ma cinque bimbi nacquero morti. Nel 1920, nonostante la ritrovata pace e il ritorno dei giovani dal fronte, i nati furono 56. Nel 1921, infine, ripresero a salire arrivando a 73. Negli stessi anni il tasso di mortalità infantile tornò a crescere prepotentemente, sia a causa del grave peggioramento della qualità della vita causato dalla guerra sia a causa della pandemia di «Spagnola», diffusa dai soldati di ritorno dal fronte. I dati a sono impressionanti:
1915 – 98 nati, 25 morti sotto i 10 anni;
1916 – 58 nati, 26 morti sono i 10 anni;
1917 – 55 nati, 15 morti sotto i 10 anni;
1818 – 46 nati, 34 morti sotto i 10 anni;
1919 – 62 nati, 27 morti sotto i 10 anni;
1920 – 56 nati, 22 morti sotto i 10 anni;
1921 – 73 nati, 35 morti sotto i 10 anni.
Nel triennio 1918-1920 morirono anche una settantina di adulti d’età compresa tra i 20 e i 40 anni. È ragionevolmente presumibile che anche loro siano in larga parte addebitabili alla «Spagnola». I nati tra il 1915 e il 1921 furono complessivamente 488 e i morti 405, con un saldo attivo di 44 unità. Quindi, i morti di «Spagnola» furono non meno di 250-270.
«Mala tempora currunt» (Corrono cattivi tempi) diceva Marco Tulio Cicerone. E aggiungeva: «…sed peiora parantur» (ma se ne preparano di peggiori). Meditate gente, meditate.
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