5 giugno 1944, l’Apocalisse s’abbatté su Canepina
Settantasei anni fa, alle 18,57, il bombardamento aereo che provocò
115 morti, oltre 200 feriti e rase al suolo il borgo medievale del paese
CANEPINA – Solo tre giorni dopo sarebbero arrivati gli Alleati, la guerra sarebbe finita e la vita avrebbe ricominciato a scorrere con i suoi ritmi lenti e ripetitivi di sempre. Ma quel 5 giugno 1944 non fu solo l’ennesimo, estenuante giorno di guerra: il 1.455° dall’inizio del secondo conflitto mondiale (10 giugno 1940). Tutt’altro, sarebbe diventato il «giorno» per Canepina e i suoi abitanti. Da allora, per tutti e per ciascun canepinese c’è e ci sarà sempre un prima e un dopo 5 giugno 1944. Per tutti è e sarà il giorno della morte, della distruzione, del lutto, del tormento, dal sangue e dal terrore.
Mancavano pochissimi minuti alle 19 di quel 5 giugno 1944. Volgeva al termine l’ennesima giornata di duro lavoro, segnata come tutte le altre dalla fame e dalla tessera per il pane. Nero. Cento grammi al giorno a persona. Dalle le camicie nere. Dal mercato nero. Il nero, come il lutto, per un verso o per l’altro, è stato sempre legato al fascismo. A quell’ora la fontana Castello era meta di molte donne con le brocche sotto il braccio in attesa del loro turno per fare approvvigionamento d’acqua. C’era un via vai di somari, muli e cavalli appena tornati dalla campagna, ansiosi dell’abbeveraggio. Nello stretto budello di via Risciolo fin giù per la discesa di Via Conci e nel piazzale del Casalino risuonavano le grida dei bambini che «rubavano» all’imbrunire un po’ d’allegria. All’improvviso tutti i rumori di fondo che scandivano la vita del paese furono sopraffatti da un rombo sordo che, di attimo in attimo, si fece più intenso. Era il rumore dell’imminente Apocalisse: «Poi suonò la tromba il terzo angelo, e cadde dal cielo una grande stella che bruciava come una fiaccola… e molti uomini morirono a causa di quelle acque, perché erano diventate amare».
L’«angelo della morte» si materializzò nel cielo di Canepina sotto le sembianze di uno stormo di grandi Consolidated B-24 Liberator, i bombardieri pesanti dell’USAAF (United States Army Air Forces). Gli aerei giunsero sul paese sorvolando Pianettello e la chiesetta della Madonna delle Grazie. E quando furono sulla verticale dei San Sebastiano spalancarono le loro enormi fauci e vomitarono bombe. Il loro obiettivo era il ponte edificato alla fine del 1800 che, secondo gli strateghi anglo-americani avrebbe potuto costituire una via di fuga per l’esercito nazista, in ritirata verso la cosiddetta Linea Gotica.
L’obiettivo fu mancato, ma in un attimo molti di quegli uomini appena tornati dalla campagna, di quelle donne affaccendate in mille faccende, di quei bambini intenti a giocare furono falciati. La polvere, nera, avvolse il paese come un sudario. Quando si diradò, nella era più come prima. Il bilancio di quel quarto d’ora d’Apocalisse fu terrificante: centoquindici morti e almeno duecentocinquanta feriti, alcuni dei quali gravissimi; la parte più antica del paese completamente rasa al suolo. Canepina perse così una parte della sua «anima», un pezzo di storia, l’identità. Ai morti del bombardamento vanno poi aggiunti quanti persero la vita nei campi di battaglia. Giovani uomini mandati al massacro per inseguire i folli sogni di gloria del regime. Obbligati a combattere al fianco dei nazisti. A lasciare brandelli dei loro corpi in Russia, in Africa, nei Balcani. Quasi sempre senza sapere nemmeno perché. E poi i lutti, gli orfani, le vedove, i mutilati. Cose che somigliano da vicino alla morte e che, a volte, la morte l’hanno fatta invocare. Come una liberazione.
Il bombardamento non spazzò via solo vite umane né si limitò a devastare gran parte delle famiglie del paese. Distrusse anche otto secoli di storia, di stratificazioni architettoniche, colori, forme. Tutto evaporò con la polvere nera che soffocò Canepina. Ma cosa c’era in quei vicoli, in quelle piazzette, in quei saliscendi di scale che costituivano la trama del paese? C’era molto, moltissimo. In occasione del passaggio di papa Gregorio XVI da Canepina, Gaetano Moroni, cronista pontificio, autore dell’imponente «Dizionario di Erudizione Storico-Ecclesiastica in 103 volumi» così la descrive: «… paese ragguardevole, cinto di mura…». Il giudizio del Moroni trovò riscontro un secolo più tardi, quando ben trentanove edifici furono inseriti nell’elenco degli immobili vincolati ai sensi delle varie leggi sulla tutela dei beni culturali che si succedettero dal 1909 al 1939. Una dozzina di essi è fu polverizzata dalle bombe. Il resto lo hanno fatto gli stessi canepinesi nei decenni successevi.
Innanzi tutto, andò distrutta la chiesa di San Giovenale, che sorgeva in piazza Castello, la più antica del paese. La sua importanza storico-artistica è svelata da un documento del 1788, custodito nell’archivio storico comunale. Si tratta del «Catasto o sia nuovo statuto della Veneranda Compagnia del Gonfalone». Nel descrivere la chiesa di San Giovenale, presso la quale aveva sede la Compagnia, è annotato: «Nelle stanze di sopra vi sono ancora de feritori tondi ad uso di fortezza, che deve credersi che anticamente fosse quel sito la fortezza del castello, per essere descritta in una delle porte maggiori di sopra a detta Chiesa <Primi Templi n(ost)ri Locus>, che non vi è descritto l’anno». Quella di San Giovenale, quindi, era la prima chiesa costruita a Canepina tra il 1100 e il 1200. A poca distanza sorgeva la torre a pianta circolare affiancata alla più antica porta del «Castrum Canapine», entrambe spazzate via dalle bombe. La torre e la porta attigua facevano parte di un vasto immobile definito nella scheda di apposizione del vincolo: «Complesso immobiliare sviluppatosi in più epoche, senza continuità architettonica. La parte più antica, riferibile al XII – XIII secolo, manomessa in alcune parti, è costituita da un tronco di torre a pianta circolare e dall’adiacente porta d’ingresso che immette in due distinti vicoli interni al complesso medesimo, che si ricongiungono a valle nella parte retrostante. Dal tronco di torre parte l’antica cinta muraria perimetrale, sulla quale sono state operate, anche in epoca recente, superfetazioni che ne hanno alterato l’aspetto. Non v’è tuttavia dubbio alcuno che il complesso in questione rappresenti uno dei nuclei architettonici più antichi e significativi del paese…». Tra l’altro, il bombardamento danneggiò pesantemente il tratto di fortificazione che iniziava dalla Porte del Molino, costruita nel 1487, epoca in cui furono ampliate le mura castellane per includere i nuovi borghi. Anche in questo caso, ciò che fu risparmiato dalle bombe è stato devastato nei decenni successivi dalla speculazione e dall’abusivismo edilizio tollerato e, non di rado, incoraggiato da chi avrebbe dovuto impedirlo.
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