Roberto Corradini, la rimozione della memoria

Al giovane ufficiale, medaglia d’argento al valor militare, è intitolata la scuola
elementare, ma per anni su di lui è stata fatta cadere un pesante coltre d’oblio
Roberto Corradini (al centro) con un gruppo di commilitoni in Africa.

UNA STORIA AL GIORNO… TOGLIE IL VIRUS DI TORNO

CANEPINA – Aveva 28 anni, una fidanzata, Carmen, che avrebbe sposato l’anno successivo: guerra permettendo. Con tutta probabilità avrebbe avuto dei figli e, in prospettiva, una brillante carriera militare. Invece, ebbe una morte orrenda, lontano da casa, e una medaglia d’argento al valor militare alla memoria. Una sorta triste, comune a tanti altri giovani della sua epoca, quella toccata a Roberto Corradini. Su di lui, tra l’altro, fu fatta scendere per anni una pesante cappa d’oblio, perché la sua morte era stata «sacralizzata» dal regime fascista, in perenne caccia d’eroi da immolare ai miti dell’impero, della romanità, dell’italianità, del soldato senza macchia e senza paura. Se poi il soldato fosse stato fascista o meno non contava: ci avrebbe pensato la propaganda di regime a plasmare la memoria sulla retorica imperante. E la retorica è sempre imbecille. Fu per questo che la scritta Roberto Corradini a caratteri cubitali, in puro stile fascista, apposta sulla facciata del Comune in occasione del ritorno delle sue spoglie a Canepina, in un tripudio di gagliardetti, fez con il teschio e di «a noi!», fu rimossa con l’avvento della Repubblica. Così come furono rimossi i fasci littori in pietra che si trovavano sul monumento dei caduti e su un paio di opere pubbliche realizzate durante il ventennio.

Roberto Corradini (a sinistra) con al fianco la fidanzata Carmen.

Roberto Corradini era nato a Canepina il 6 aprile 1913. Il padre, Raniero, romano, era maresciallo dei carabinieri, la madre, Maria Vincenza Ferri era canepinese. Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, la famiglia Corradini si trasferì a Roma. Tornava a Canepina solo per un paio di settimane durante l’estate. Roberto, scolaro delle elementari, invece, si tratteneva dai famigliari della madre fino all’autunno. A Roma frequentò con profitto il liceo classico e, dopo aver conseguito la maturità, entrò nell’Accademia Militare di Modena. Quella della divisa era una tradizione dei Corradini: anche il nonno paterno, infatti, era stato un sottufficiale dell’esercito. Nel 1935, a 22 anni, uscì dall’accademia con il grado di sottotenente. Tornato a Roma, si fidanzò con Carmen, che aveva conosciuto a una festa. Anch’ella era figlia di un militare.

Nel 1936, Roberto Corradini, carrista, fu inviato in Africa Orientale, nella sciagurata guerra di conquista dell’Etiopia. In pochi mesi ottenne la promozione a tenente e alcuni riconoscimenti per i suoi meriti. All’inizio della

Roberto Corradini (al centro) con la fidanzata Carmen e un gruppo di amici.

Seconda Guerra Mondiale venne di nuovo inviato in Africa, questa volta sul fronte Settentrionale, in Marmarica, una regione costiera prevalentemente desertica a cavallo tra Libia ed Egitto, a oriente della Cirenaica. Era alla testa di una squadra del 132° Reggimento Fanteria Carrista. Il 19 novembre 1941, a Bir-El-Gobi, nel corso di violenti combattimenti, morì. «Eroicamente» dice la motivazione della Medaglia d’Argento al valor militare alla memoria che gli fu conferita l’anno successivo.

Le spoglie del tenente Roberto Corradini, riportate in Italia, furono tumulate a Canepina, nella tomba di famiglia. Tomba nella quale, anni dopo, saranno sepolti anche il padre e la madre. Quest’ultima, disperata, ha portato il lutto tutta la vita e da allora ha sempre misurato il tempo in anni, mesi e giorni dalla morte del figlio. Il padre, finché è vissuto, ha portato all’occhiello della giacca le decorazioni del figlio listate a lutto. Nei primi anni Sessanta del 1900, per volere del sindaco Domenico Pesciaroli, che era anche preside delle scuole medie, l’edificio scolastico del paese, inaugurato in quei giorni, fu intitolato a Roberto Corradini.

Piazza Garibaldi con la scritta Roberto Corradini.

Sulla destra dell’edificio scolastico sorgeva un vecchio immobile in cui, durante il ventennio fascista, era allestita una colonia estiva intitolata ad Angelo Santini, un altro soldato canepinese morto nella guerra d’Africa. I bambini, alla fine degli anni Trenta, trascorrevano un periodo estivo nella colonia. La mattina, durante l’adunata, cantavano una canzoncina: «Nella Colonia Estiva Angelo Santini, andiamo al refettorio a fare colazion, ce la mangiamo tutta, tutta in un boccon».  Attiguo al Monumento ai Caduti c’era un grande cancello sorretto da due possenti colonne che immetteva nella proprietà della famiglia Rem-Picci, finacheggiata dalla strada san Rocco (oggi via Viterbo). Sull’architrave spiccava la scritta «Colonia Estiva Angelo Santini».

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