Corona, il «nome di battaglia» della patrona di Canepina

Era l’aggettivo con il quale venivano indicate le donne «vincitrici del martirio»
diventato poi nome proprio poiché era impossibile sapere come si chiamassero 

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La statua Settecentesca di Santa Corona Patrona di Canepina.

CANEPINA – Sono numerose le coppie di santi venerate con i nomi di Vittore e Corona nel mondo cattolico. La punta massima fu raggiunta nel 1600 con una sessantina di coppie. A questi vanno aggiunti quelli che, con gli stessi nomi, erano e sono venerati separatamente. Una vera e propria inflazione si potrebbe dire. Ma c’è una precisa e complicata ragione storica che giustifica tutto ciò: i nomi dei  primi cristiani, maschi o femmine, che erano sottoposti a ogni specie di supplizio, non venivano ovviamente registrati e, spesso, erano ignoti agli stessi aguzzini. I cristiani catturati nelle «retate» compiute a Roma e nelle varie province venivano trascinati nei luoghi del martirio a gruppi anche numerosi e quasi subito uccisi nei modi più atroci. Nessuno si curava di sapere come si chiamassero e da dove venissero.

Ogni qualvolta i cristiani scampati alla cattura riuscivano a recuperare i loro resti, li seppellivano nei primi cimiteri o li raccoglievano urne più o meno decorate, più o meno preziose. E, non potendo individuare a chi appartenessero, gli affidavano una sorta di «nome di battaglia». Uno dei più usati tra i maschi era Vincitore, Vittore, Vittorio, cioè colui che ha vinto il martirio. Ma anche Vincenzo e Nicola, che hanno l’identica etimologia. Analogo il discorso per le donne: Vittoria, Nicolina o Stefania in greco, Corona in latino e in italiano. Quindi, Corona è il nome «convenzionale» attribuito alla patrona di Canepina giacché non si conosce quello vero.

Un esempio per tutti: Santa Dolcissima patrona di Sutri. In un’urna in marmo del IV secolo d.C., scoperta in una nicchia a Sutri è scritto: «Qui riposano i resti della vergine dolcissima che s’immolo per preservare la fede in Dio». É ovvio che quel «dolcissima» era un aggettivo superlativo che indicava una qualità della giovane. Già ma come si chiamava? Impossibile accertarlo; così l’aggettivo è stato trasformato in nome proprio. Da allora, Dolcissima è diventato un nome femminile molto diffuso a Sutri. Negli ultimi decenni, per la verità, molto meno. Un po’ come è stato a Canepina per Corona. Non c’era famiglia del paese che non avesse una figlia chiamata Corona. Oggi sono in via d’estinzione.

Lo «zziro pe ffa a vucata» di santa Corona.

Benché secondo la tradizione santa Corona sarebbe stata martirizzata insieme con san Vittore ad Alessandria, come affermano gli «Acta Sanctorum» (a Tebe d’Egitto secondo Padre Fedele Santini, che compì lunghi studi e ricerche sul luogo del martirio) a Canepina era invalsa la credenza che ella avesse vissuto nel luogo dove ora si trova la pieve a lei dedicata. Non solo, all’esterno della chiesetta c’è ancora splendida vasca ottagonale che i vecchi canepinesi credevano fosse lo «zziro pe ffa a vucata» usato da santa Corona. Da qui a dire che la chiesa fosse stata eretta laddove c’era la sua casa il passo fu breve. Del resto, ancora nel primo Dopoguerra, alcune anziane donne raccontavano come nei locali attigui alla pieve sarebbero stati conservati alcuni oggetti appartenuti a santa Corona: il fuso e l’arcolaio con i quali lavorava la canapa.

É proprio vero quanto scriveva Emily Dickinson: «La fede è il ponte senza pilastri che porta ciò che vediamo verso la scena invisibile, troppo tenue per l’occhio».

 

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