Quel sangue donato per salvare un giovane operaio

Il gesto compiuto nel luglio 1930 da padre Marino Moneta, canepinese,
camilliano, all’epoca capo dei cappellano dell’ospedale del Littorio di Roma

UNA STORIA AL GIORNO… TOGLIE IL VIRUS DI TORNO

La lettera di Marcello Diaz a padre Marino Moneta.

CANEPINA – «Reverendo Padre, sebbene non abbia il gradito piacere di conoscerla personalmente, spero vorrà permettermi di esternarle tutta la mia più viva ammirazione per l’atto veramente eroico e nobilmente cristiano che lei ha compiuto donando parte del proprio sangue per la salvezza di un infermo. Voglio augurarmi che il suo esempio serva di sprone e di incitamento a ripetere tali gesti nobili e belli che onorano chi li compie e nobilitano il popolo che genera e vivifica dei cuori così caritatevoli. Voglia Gradire i sensi della mia più alta considerazione unitamente all’espressione sincera dei miei dovuti saluti». É il testo della lettera inviata il 28 luglio 1930 al responsabile dei cappellani dell’ospedale del Littorio di Roma (l’attuale San Camillo–Forlanini) da Marcello Diaz, duca della Vittoria, figlio di Armando, il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, che condusse l’Italia alla vittoria della Prima Guerra Mondiale. Il capo dei cappellani del Littorio si chiamava padre Marino Moneta, era di Canepina, apparteneva all’Ordine dei Chierici Regolari Ministri degli Infermi, comunemente conosciuto come Camilliani poiché erano seguaci di San Camillo, il fondatore. Erano e sono contraddistinti da una grossa croce di color rosso sulla tonaca.

L’articolo de Il Messaggero che racconta il gesto di padre Marino Moneta.
Don Marino Moneta con il nipote Felice Menicacci, noto oculista.

Ma in cosa consisteva l’atto veramente eroico e nobilmente cristiano compiuto da don Marino? Ecco come fu descritto dal quotidiano Il Messaggero: «Un’altra prova dell’alto sentimento di carità cristiana che anima il clero della Capitale come del più piccolo centro della penisola si è avuta ieri all’Ospedale del Littorio e l’ha fornito il capo dei cappellani del grande nosocomio, padre Moneta. Vi è stato trasportato nelle prime ore del mattino l’operaio Ruffino Popponsi, di anni 26, da Fallerone nelle Marche, per una grave ferita alla milza riportata dall’investimento di un carrello nello stabilimento Mira-Lanza in via Papareschi. Il caso era disperato per la grande quantità di sangue perduta dal disgraziato: occorreva quindi una trasfusione del sangue di un qualche generoso che l’avesse offerto, per strappare alla morte il povero operaio che vedeva sfuggirsi la vita di minuto in minuto. E l’uomo generoso si è trovato subito, non appena la voce si è sparsa nelle corsie del nosocomio nella persona di padre Moneta. Il bravo sacerdote si è sottoposto senza indugio alla grave «operazione …». Più avanti l’articolo de Il Messaggero dice che le condizioni del giovane operaio erano in netto miglioramento, quindi il gesto di padre Moneta gli aveva salvato la vita.

Anche il presidente del Pio Istituto di Santo Spirito inviò una lettera a padre Moneta: «L’atto generoso da lei compiuto, donando una rilevante quantità di suo sangue ad un povero ferito ricoverato al Littorio, costituisce palese conferma degli alti sentimenti di carità cristiana e di spirito di sacrificio che da sempre hanno animato la signoria vostra nell’esercizio del ministero affidatole. Per tale nobile gesto ella acquista nuovo titolo di benemerenza nel campo dell’assistenza agli infermi…».

Marino Moneta a Canepina, negli anni Trenta, quando era ancora camilliano.

L’enfasi dell’articolo e la eco che ebbe il gesto di padre Marino Moneta si spiega con il fatto che all’epoca la trasfusione di sangue era ancora un’operazione abbastanza complicata e praticata solo in caso di pericolo di vita. Lo dimostra il fatto che il 13 dicembre 1937, quando fu approvato il Decreto Ministeriale su «Norme concernenti la trasfusione, il prelevamento e l’utilizzazione del sangue umano», non era ancora regolamentata.

Padre Marino Moneta restò in servizio come capo dei Cappellani del grande ospedale romano fino al 1936, quando chiese e ottenne di lasciare il suo ordine e di essere «incardinato» tra i sacerdoti secolari della diocesi di Viterbo e Tuscania. Da quel momento, anziché padre Marino divenne don Marino. E si ritirò a Canepina, come aveva concordato con il vescovo Emidio Trenta. Nel 1938, il presidente della Croce Rossa Italiana lo nominò delegato per il comune di Canepina e gli conferì l’incarico di costituire la delegazione locale. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale collaborò assiduamente con i due parroci del paese, don Emidio Moscatelli e don Alessandro Testa. Nel 1950, in occasione del Giubileo del 1950, il primo dopo la miseria della Seconda Guerra Mondiale, don Marino Moneta insieme con i due parroci, organizzò vari pellegrinaggi a Roma, cui aderivano centinaia di canepinesi. Avanti con gli anni, si ritirò nella casa dei suoi famigliari, da dove usciva sempre più raramente. Morì il 5 aprile 1958. È sepolto nel cimitero di Canepina.

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