Canepina passa e cammina… Perché?

Il detto dovuto all’impervia strada che conduceva verso la montagna
I canepinesi fecero di necessità virtù inventando il mestiere del “bilancino”

UNA STORIA AL GIORNO… TOGLIE IL VIRUS DI TORNO

Un particolare del Catasto Gregoriano di Canepina (1816 – 1830), dove non compare via Mazzini all’inizio del Vallerio

CANEPINA – «Canepina passa e cammina… Se ti fermerai te ne pentirai»: come, quando e perché nacque il detto che gli abitanti del paese si sentono ripetere ogni qualvolta, alla domanda «…di dove sei», rispondono «di Canepina»? L’antico adagio non è dovuto né a qualche caratteristica poco edificante dei canepinesi, che pur esiste, o alla presunta fondazione del paese da parte dei non meglio specificati briganti. In realtà ebbe tutto inizio da una strada: quella che nei secoli scorsi conduceva verso la montagna e da lì a Viterbo. Strada che nella parte iniziale esiste tuttora e che percorrendola spiega come sia nato il detto.

Prima del 1879, chiunque giungendo dal lato occidentale del Cimino doveva recarsi a Viterbo, era obbligato a passare da Canepina. Per chi doveva fare il percorso a piedi o in sella a un cavallo o un asino l’impresa era faticosa ma non impossibile; i problemi, grossi, potevano trovarli, e spessissimo li trovavano, coloro che trasportavano su carri trainati da qualunque tipo di quadrupede ogni specie di mercanzia. Una volta attraversato il paese, infatti, dovevano affrontare una salita che, soprattutto d’inverno, poteva diventare ardua e rischiosa: quella che dall’attuale piazza Marconi, percorrendo viale delle Rimembranze s’inerpica, con pendenze d’alta montagna, fino alla località Selva Luce. In realtà all’epoca il tragitto era diverso giacché a un certo punto, prima dei bottini dell’acquedotto, la strada girava verso destra e passando a mezza costa, portava all’incirca dove ora c’è il ponte di Santa Rosa. Da lì, attraverso il fondo valle della località Mattella, risaliva fino a Casa Gioia, per arrivare infine alla «Colonnetta» (l’attuale bivio per Soriano nel Cimino). Un tragitto lungo circa il doppio, ma un po’ più «dolce».

Il Catasto di Canepina del 1835.

Numerosi carri di tutte le fogge e dimensioni, a causa delle piogge o della neve rimanevano a metà salita, impossibilitati sia a procedere verso il monte che a tornare indietro. Fu così che i canepinesi inventarono il mestiere del «bilancino». In alcuni locali al pianoterra posti alla fine del Vallerio (l’attuale via XX Settembre), subito dopo l’ultima porta del paese, «Porta dei Frati», allestirono almeno tre stalle con dentro buoi, muli, cavalli e somari. A che scopo? Aiutare i carri in difficoltà a superare l’erta. In pratica le bestie da tiro venivano aggiunte a quelle già attaccate ai carri in difficoltà. Mestiere, quello del «bilancino», durato circa un secolo e mezzo. Fino al Dopoguerra, a Canepina, «andare a bilancino» era sinonimo di essere trasportato.

Sul singolare mestiere sono fioriti aneddoti di ogni genere: ad esempio, come racconta Elvidio Mancinelli, capitava spesso che i proprietari dei carri previdenti si rivolgessero al «bilancino» prima di avventurarsi sulla salita. Altri, invece, nel tentativo di risparmiare il compenso, tentavano con i propri mezzi di arrivare in cima. Solo davanti alla difficoltà insormontabile, dopo aver piazzato le cosiddette «zeppe» sotto le ruote del carro per frenarle, tornavano indietro a piedi per chiedere aiuto al «bilancino» di turno.  In questo caso, però, il prezzo praticato era pressoché il doppio. Come dire: «Così impari a non rivolgerti subito a noi». Fu in questo contesto che nacque il detto: «Canepina passa e cammina… Se ti fermerai te ne pentirai». Infatti, fermarsi lungo l’erta, non solo significava non riuscire più a partire, ma anche dover pagare il compenso doppi al «bilancino».

Il bando di gara per la costruzione di Strada San Rocco del 1879.

La situazione cambiò radicalmente dopo il 1879, quando fu costruita la strada di San Rocco (prendeva il nome dalla chiesa che si trovava alle porte del paese, distrutta negli anni Settanta nel secolo scorso per far posto a una palazzina), che collegava Canepina alla «Colonnetta» e quindi a Viterbo. La strada, la cui prima parte è diventata l’attuale via Viterbo, non proprio un esempio di  urbanistica avveduta, aveva almeno il pregio di facilitare il passaggio a persone e merci.

Fino ad allora, come mostrano chiaramente i catasti urbani di Canepina del 1816 e quello successivo del 1835, chiunque doveva recarsi a Viterbo o comunque valicare il Cimino da occidente era obbligato a entrare in paese da Porta San Sebastiano (o da Porta del Mulino se era a piedi, poiché si trovava davanti la scalinata che conduceva in via Castello), percorrere via Nuova fino a piazza San Michele Arcangelo (l’attuale piazza Cavour), salire il Vallerio e uscire da Porta dei Frati. Via Mazzini, infatti, non esisteva. Su quel versante, il paese finiva subito dopo l’imbocco di via Donazzano. Sul lato del convento dei Carmelitani, dove ora inizia via Mazzini, c’era il muro che cingeva l’orto dei frati e la foresteria, che finivano all’altezza del primo vicolo del Vallerio. In pratica, anche l’area occupata dell’attuale palazzo Boccolini, edificato nella seconda metà dell’Ottocento, faceva parte degli annessi al convento dei Carmelitani. Via Mazzini fu aperta tra il 189o e il 1891, dopo che era stato costruito il ponte all’inizio del paese.

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