L’Ara Votiva di Collicciano della prima Era Imperiali
Fu trovato nel 1834 da Agostino Rem-Picci e trasportato a Canepina
L’enigma degli ex voto etrusco-falisci di cui s’ignora la provenienza
UNA STORIA AL GIRNO… TOGLIE IL VIRUS DI TORNO
CANEPINA – «Nel giardino della villa Rem-Picci, in Canepina, si trova una rustica ara con iscrizione inedita. Il proprietario (il professor Giacomo Rem-Picci, ndr) mi ha assicurato che il monumentino non è stato da alcuno divulgato». Inizia così la descrizione dell’ara votiva che è stata conservata per oltre due secoli nell’attuale giardino comunale, quando era ancora di proprietà della famiglia Rem-Picci. Dalla metà del secolo scorso e fino a pochissimi anni fa si trovava invece nel giardino retrostante la chiesa di Sant’Amanzio e dell’annessa abitazione. Il professor Antonielli ebbe modo di vedere e studiare l’ara votiva nel 1925, allorché venne a Canepina per studiare le vasche in pietra vulcanica che, in grande quantità, si trovavano, e in parte ancora si trovano, in contrada Mignone, dove ora c’è l’Agriturismo Casal Grande (Vedi numeri del 26 e 27 aprile scorsi). L’archeologo pubblicò i dati sull’ara su «Atti della Regia Accademia dei Lincei, Volume L (XXII della serie V) fascicoli 1°, 2°, 3° (Notizie degli scavi di Antichità)», insieme a quelli delle vasche per la macerazione dei vegetali.
«Quest’ara – prosegue Antonielli – ha in sostanza la nota forma degli altari funebri con cuscinetti e volute, ma è incompleta; è alta metri 1,10, larga alla metà metri 0,56, spessa da metri 0,40 a 0,55. L’archeologo, dopo aver descritto minuziosamente il piccolo monumento, aggiunge: «… sul lato frontale, su tre linee, è incisa l’iscrizione:
ARA
LARUM
FACTA MERITO
Le lettere delle due prime linee di tipo monumentale, incise con molta accuratezza, sono alte da 7,5 a 8 centimetri; quelle della terza linea sono più piccole e meno bene eseguite, alte 5,2 centimetri e con le due parole divise dal non frequente segno a frecciolina. Altro particolare da rilevarsi è dato dalla prima lettera della terza riga, in cui forse il lapicida (colui che l’ha scolpita, ndr) accomodò la F su una E già tracciata; belle e regolarissime son la R, la L, la V, nelle prime due linee».
Infine, il professor Antonielli passa alla datazione dell’Ara: «I caratteri dell’iscrizione verosimilmente ci riportano ai primi tempi imperiali (27 a.C. circa, ndr); l’iscrizione stessa, in cui è contenuta una dedicazione ai <Lares> campestri (figure religiose che rappresentano gli spiriti protettori degli antenati defunti che, secondo le tradizioni, vegliavano sul buon andamento della famiglia, della proprietà o delle attività, ndr), ha una formula (ara <facta>, invece che <posita> o <data>) che risulta nuova dal punto di vista epigrafico. Tale singolarità può allora attribuirsi alla natura rurale o paesana del modesto monumento».
Molti anni più tardi, nel 1988, Il professor Luigi Gasperini, docente di Epigrafia Romana (l’autore della trascrizione del testo del Santuario delle Acque dell’Arcella), ha dato una nuova interpretazione del piccolo altare votivo: «Un’ara Larum come questa, sulle pendici sudorientali del Cimino, non può non ricondurre a quei particolari Lares, detti <simitales>, che proteggevano nella credenza degli antichi il viandante lungo i sentieri dei boschi o delle campagne».
Ma come, da dove e quando il piccolo altare votivo è arrivato nel giardino di Villa Rem-Picci? A svelarlo è un atto notarile datato 1834, conservato nell’Archivio di Stato di Viterbo, dove è arrivato dall’Archivio Notarile Distrettuale. Nell’atto, Agostino Rem-Picci, potentissimo e ricchissimo capo della famiglia, fa attestare a un notaio che il reperto «è stato trovato occasionalmente il 20 ottobre 1834
nella contrada Collicciano sita al di là del Rio Cornienta, sotto il Cimino e fu trasportata per cura del Nobile Cavalier Agostino Rem-Picci, zelante raccoglitore di antiche memorie, nella sua villa in Canepina. L’atto legale è steso per volontà del medesimo signore, perché i posteri fossero sicuri del ritrovamento e dell’autenticità del reperto».
Non è invece chiaro da dove siano arrivati ai Rem-Pcci le decine di ex voto etrusco-falisci incastonati nei muri dell’appartamento attiguo alla chiesa di Sant’Amanzio e nel porticato della villa sulle Cime. Si tratta di piedi, mani, mammelle, orecchi, occhi organi genitali maschili e femminili in terracotta, alcuni dei quali di pregevole fattura. Essi rappresentavano la parte malata del corpo per cui si chiedeva la guarigione alle divinità: richiesta di «sanatio». Nel 1980 circa, Giorgio Rem-Picci, durante un colloquio con Elvio Cianetti e Virgilio Fazioli, che gli chiedevano notizie sui reperti, raccontò di aver sentito dire dal padre che erano stati trovati a Canepina, ma non seppe indicare né il luogo né l’anno. É probabile, spiegò, che fosse la prima metà del 1800, poiché il suo bisnonno era appassionato di archeologia.
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.