8 giugno1944, Canepina liberata dagli Alleati

Nino Pesciaroli, 39 anni, maresciallo dell’Esercito, nominato sindaco reggente
L’anno dopo le prime elezioni comunali, dopo oltre vent’anni di dittatura nera

UNA STORIA AL GIORNO… TOGLIE IL VIRUS DI TORNO

La libertà è come l’aria:

ci si accorge di quanto vale 

quando comincia a mancare.

(Pietro Calamandrei)
Nino Pesciaroli, maresciallo dell’Esercito, nominato sindaco reggente di Canepina dagli Alleati

CANEPINA – Il 25 aprile 1945, quando in tutto il Nord Italia scoppiò la rivolta popolare contro l’invasione nazista e i loro alleati fascio-repubblichini, Canepina era già stata liberata da dieci mesi. Le truppe alleate, costituite dalla 7ª Armata statunitense e dall’8ª Armata britannica, sbarcate in Sicilia il 9 luglio 1943, dopo quasi un anno di duri combattimenti e pesantissime perdite, entrarono a Roma. Era il 4 giugno 1944. Da lì, in pochi giorni, dilagarono in tutto il Lazio. A Canepina, appena devastata dalle bombe che avevano causato 115 morti e centinaia di feriti, oltre alla distruzione della parte più antica del paese, il Castello, gli alleati entrarono la mattina dell’8 giugno, preceduti da una pattuglia di esploratori canadesi. I tedeschi erano fuggiti verso Nord subito dopo la caduta di Roma. Per tutta la notte successiva al bombardamento, mentre i morti e i tantissimi feriti erano ancora sotto le macerie, il paese fu attraversato da lunghissime autocolonne tedesche dirette verso la Linea Gotica.

I mezzi pesanti delle truppe angloamericane passarono dalla porta di san Sebastiano, il resto dal ponte che quattro giorni prima i loro bombardieri non erano riusciti a distruggere. Per dirigersi verso Viterbo, anziché da via Mazzini passarono da via XX settembre (E Vallerio). Qualcuno tra gli anziani del paese sostiene che il vecchio ponte che si trovava nei pressi dell’ex convento dei carmelitani fosse troppo stretto e, forse, troppo fragile per sopportare il peso di carrarmati e mezzi blindati. Ma anche il Vallerio risultò in alcuni tratti troppo stretto poiché numerose scalinate esterne furono completamente o parzialmente divelte dai cingoli.

La stragrande maggioranza delle truppe Alleate attraversarono Canepina e proseguirono verso Nord, all’inseguimento dei tedeschi in ritirata. Solo un piccolo gruppo si fermò, prese alloggio in via Vallerano, in un palazzetto di proprietà della famiglia Corsi, tuttora esistente. Nei primi giorni c’era diffidenza verso quei soldati che offrivano sigarette e cioccolata e che, solo quattro giorni prima, avevano seminato distruzione e morte con le loro fortezze volanti. Ma durò poco: i canepinesi, così come quasi tutti gli italiani, capirono presto che i soldati americani non erano occupanti, ma liberatori. Distribuivano vettovaglie e medicinali, chiamavano tutti «paesà» e, soprattutto, il loro comportamento era l’opposto di quello violento, sprezzante, spesso inumano dei tedeschi e dei loro sodali repubblichini. Canepina come il resto della Tuscia, era stata liberata dalla prima Divisione corazzata americana senza sparare un colpo. Da quel giorno i canepinesi, quelli che ancora l’avevano, poterono tornare nelle loro case, lasciando le grotte e le cantine in cui si erano rifugiati.

La zona del Castello dopo il Bombardamento del giugno 1944.

Lo stesso 9 giugno fu liberata l’intera provincia di Viterbo. A decretarlo ufficialmente furono il capitano John Kane, inglese, e il sergente italoamericano Anthony Lancione detto Tony. Come scrisse in un memorabile articolo Sandro Vismara, il più grande giornalista viterbese, testimone oculare dei fatti, «…loro (gli americani) presero possesso del palazzo della Prefettura, in nome del governo alleato (Allied military government of occupied territories)».

Il primo provvedimento degli alleati a Canepina fu la revoca del Commissario della Repubblica Sociale Italiana, il professor Domenico Pesciaroli (successivamente diventerà sindaco per due mandati: il primo la Democrazia Cristiana, il secondo con il Partito Comunista). Dopodiché nominarono il sindaco reggente: Nino Pesciaroli, 39 anni, maresciallo di Fanteria che, dopo l’8 settembre 1943 e la caduta del fascismo, restò fedele alla Corona e non aderì alla Repubblica Sociale di Salò. Molti canepinesi, reduci dalla disastrosa Campagna di Russia, raccontavano che erano riusciti a sopravvivere alla ritirata proprio grazie a Nino Pesciaroli, furiere, che fornì loro indumenti e scarponi indispensabili a non morire assiderati. Come lui, molti altri canepinesi, soprattutto una sessantina di giovani, si rifiutarono di arruolarsi nell’esercito repubblichino, dandosi alla latitanza per mesi.

La zona del Castello dopo il Bombardamento del giugno 1944.

Per un non breve periodo Canepina, come moltissime altri centri, visse giornate furibonde. Nel vuoto di potere che si era venuto a creare s’insinuarono personaggi che si arrogarono il ruolo di «liberatori» e dettero luogo a pestaggi, sequestri e vendette. La situazione fu parzialmente ricomposta dal colonnello Oreste Fiorentini, anch’egli rimasto fedele alla monarchia, che aveva organizzato gruppi di giovani militari sbandati per farli aderire alla Resistenza, e Elio Gentili, un partigiano che era riparato a Canepina, dove restò per alcuni mesi. Nel 1946, un gruppo di canepinesi presentò un esposto per denunciare «abusi nelle qualifiche di partigiano» e per «… smentire l’esistenza di un nucleo di partigiani sul luogo». Un dato, quest’ultimo, confermato dagli archivi dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) di Viterbo, dove risulta che l’unica banda partigiana presente in paese fu la «Strale», al comando di Elio Gentili, arrivata subito dopo le truppe alleate.  Ci vollero alcuni mesi prima che l’ambiente si tranquillizzasse. Infine, nel 1946, arrivò il primo vero e proprio «bagno» di libertà: le elezioni comunali, le prime dopo vent’anni.  Nino Pesciaroli cedette il posto al primo sindaco eletto: Giorgio Rem-Picci. Subito dopo iniziò la faticosa ricostruzione, non solo fisica, del paese.

Il 22 aprile del 1946, il governo italiano provvisorio guidato da Alcide De Gasperi (l’ultimo del Regno d’Italia), stabilì che il 25 aprile dovesse essere «festa nazionale». La data fu fissata in modo definitivo con la legge numero 269 del maggio 1949, presentata dallo stesso De Gasperi in Senato nel settembre 1948. Da allora, il 25 aprile è un giorno festivo, come le domeniche, il primo maggio, il giorno di Natale e la Festa della Repubblica, che ricorre il 2 giugno.

 

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