La dominazione dei Farnese a Canepina (parte seconda)
UNA STORIA AL GIORNO… TOGLIE IL VIRUS DI TORNO
CANEPINA – I Farnese, pur imprimendo un significativo sviluppo a Canepina, imponevano alla popolazione pesanti gabelle. L’edificazione di grandiosi palazzi, comi quelli di Roma o di Caprarola, la realizzazione di strade e ponti, gli stipendi delle loro soldataglie costituite soprattutto da mercenari, richiedevano quantità crescenti di denaro. La situazione divenne insostenibile per i canepinesi, tanto che una delegazione di “notabili”, il 10 ottobre 1551, incontrò i priori di Viterbo e proposero di tornare sotto le loro insegne. In cambio chiesero che gli ufficiali e la magistratura inviata a Canepina non appartenessero a nessuna delle fazioni in lotta per il controllo della città. I Viterbesi tentarono di cogliere la palla al balzo inviando un memoriale a papa Giulio III, succeduto nel 1550 a Paolo III Farnese, elencando le ragioni storiche e giuridiche della loro presunta supremazia su Canepina. Il pontefice inviò un commissario, il quale indagò e riferì. Ma le ragioni politiche ebbero il sopravvento e tutto restò come prima. A quel punto i Farnese, pur di mantenere i buoni rapporti con Viterbo, riconobbero alcuni “diritti” della città, come la fornitura dei cerchi delle botti nella quantità richiesta e il pagamento di gabelle varie. Insomma, i canepinesi si ritrovarono con due padroni. E dire quale dei due fosse peggio è difficile da appurare.
Nei successivi quarant’anni Canepina riuscì a barcamenarsi tra i Farnese e i viterbesi aprendo di volta in volta varie vertenze nel tentativo di strappare agli uni e agli altri condizioni meno penalizzanti. La situazione, però, precipitò nel 1592. Il giorno dell’Assunzione una folla inferocita di canepinesi staccò dalle porte del castello lo stemma di Viterbo, “trascinando la pietra ove era scolpito per le vie del paese, con grande schiamazzo e scherno per la città” (Memoriali dei Priori, Volume 1, Numero 7). Subito dopo “a mano armata” si ripresero i buoi che erano stati sequestrati ad alcuni di loro per non aver rispettato gli obblighi imposti dai viterbesi. I contrasti insorti con la città furono così insanabili che nei tre anni successivi le terre della montagna appartenenti a Viterbo, ma da decenni lavorate dai canepinesi, restarono incolte. Il clamore fu tale da richiedere l’intervento del papa, il quale impose ai Farnese di raggiungere, a nome dei canepinesi, un accordo con Viterbo. L’intesa, raggiunta il 19 agosto 1593, imponeva a Canepina di fornire a Viterbo 200 some di cerchi in legno per le botti l’anno (circa due terzi di quelli previsti nella convenzione precedente) a un prezzo “congruo”. In cambio i canepinesi avrebbero potuto commercializzare prodotti agricoli, legname e canapa in città senza pagare alcuna gabella. A Viterbo sarebbe andata anche una parte dei raccolti delle terre della montagna o, in alternativa, un corrispettivo in denaro. L’accordo fu rinnovato nel 1606 e così di seguito.
La situazione si trascinò così fino al 1642, quando papa Innocenzo X, deciso a riportare nel Patrimonio di San Pietro in Tuscia i territori del Ducato di Castro e della Contea di Ronciglione, dichiarò guerra a Duca di Castro. Viterbo pensò di approfittare della situazione per rivendicare ancora una volta, invano, il dominio su Canepina. Nel 1649, dopo la distruzione della città Castro, letteralmente rasa al suolo dalle truppe papaline, l’intero territorio del Ducato, quindi anche Canepina, tornò alla Camera Apostolica. Ebbe così fine l’esperienza farnesiana iniziata 105 anni prima, caratterizzata da luci e ombre. Probabilmente le prime furono più delle seconde.
Ma chi era Alessandro Farnese? Come arrivò ad essere il 220° papa della Chiesa Cattolica? E, soprattutto, fu un pontefice avido e un nepotista incallito o un uomo di Dio? Né l’uno né l’altro o forse fu sia l’uno che l’altro. La sua carriera ecclesiastica la deve tutta, o in larga parte, alla sorella Giulia. Avvenente al punto di meritarsi dai suoi contemporanei l’appellativo di Giulia la Bella, aprì a lei e alla sua famiglia la via del potere e della ricchezza, dando inizio alle fortune di casa Farnese. Giovanissima moglie di Orsino Orsini, signore di Bassanello (l’attuale Vasanello), quando fu celebrato il matrimonio, nel 1490, era già l’amante dello spagnolo Rodrigo Borgia, il quale aveva avuto quattro figli da un’altra amante Vannozza Cattanei, tra i quali la celebre Lucrezia. Tra quest’ultima e Giulia Farnese s’istaurò un’amicizia salda e durevole. Da papa Borgia ebbe anche una figlia, Laura. Alessandro VI era completamente accecato dalla passione per la giovane che voleva sempre accanto a sé. E Giulia, ribattezzata dai contemporanei concubina papae o addirittura, sponsa Christi, riuscì a ottenere dal lui tutto ciò che desiderava, compresa la creazione a Cardinale del fratello Alessandro a soli 25 anni e senza che fosse nemmeno ordinato sacerdote.
Morto papa Borgia e il primo marito Orsino Orsini, Giulia si ritirò a Carbagnano, feudo che le era stato donato dall’amante papa. Qui, nel 1509 sposò Giovanni Capece Bozzuto, figlio di Cesare Maria, signore di Afracola, esponente della piccola nobiltà napoletana. La vulgata dell’epoca vuole che fosse soprannominato “Bozzuto” per il suo attributo virile fuori dal comune. Alcune maligne, o invidiose, cortigiane sparsero la voce che solo quel motivo avesse spinto Giulia Farnese a sposare il giovane napoletano. Sulla faccenda c’è un’altra versione più verosimile: l’enorme bozzo sopra il cavallo delle brache di Capece, oggi si direbbe ”pacco”, altro non sarebbe stato che una voluminosa e fastidiosa ernia. Comunque, il matrimonio tra Giulia Farnese e il giovane napoletano fu tutto sommato felice. I due vissero a lungo nel castello di Carbognano e, come detto, entrambi, nei rispettivi testamenti, espressero il desiderio di essere sepolti nell’isola Bisentina.
Alessandro Farnese, nel frattempo, teneva una condotta tutt’altro che encomiabile: era stato in carcere e allontanato da Roma. La famiglia lo inviò a Firenze alla corte di Lorenzo de’ medici. Alcuni anni dopo, tornato a Roma, fu creato cardinale da papa Alessandro VI, per intercessione, per così dire, della sorella Giulia. Aveva solo 25 anni e non era ancora stato ordinato sacerdote. Tra le sue varie amanti c’era anche Silvia Ruffini, dalla quale ebbe quattro figli: Costanza (1500), Pier Luigi, il suo favorito (1503), Paolo (1504) e Ranuccio (1509). Ricoprì vari e importanti incarichi ecclesiastici finché nel 1534 fu eletto papa con il nome di Paolo III. Da quel momento la sua vita cambiò radicalmente tranne per il nepotismo che esercitò senza alcuna remora, arrivando a concedere la porpora cardinalizia ai suoi nipoti.
Fu, Paolo III, il papa della Controriforma, per contrastare il diffondersi della Riforma Protestante; convocò il Concilio di Trento; istituì l’Inquisizione romana; firmò bolle ed encicliche che condannavano senza mezzi termini la schiavitù; concesse l’approvazione pontificia alla Compagnia di Gesù fondata da Ignazio di Loyola; riformò la Curia Romana. Ma non solo, Paolo III tentò di moralizzare il clero, richiamando all’osservanza dei voti tutti i consacrati. C’è chi vede in questa scelta una forma di ravvedimento della vita che egli stesso e i suoi famigliari avevano condotto fino ad allora.
All’età di ottantun anni la sua salute peggiorò improvvisamente: un violento alterco con i nipoti Ottavio e Alessandro riguardo l’annessione del Ducato di Parma e Piacenza gli causò una grave infermità dalla quale non si risollevò più. Il 10 novembre1549, dopo quindici anni di pontificato, che l’avevano visto protagonista delle vicende europee non solo religiose, Paolo III si spense. Fu sepolto nella basilica di San Pietro in Vaticano.
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