A Canepina una delle più antiche Via Crucis della Tuscia
UNA STORIA AL GIORNO… TOGLIE IL VIRUS DI TORNO
CANEPINA – Non solo Pasqua e Pasquetta chiusi in casa: quest’anno i canepinesi, come tutti gli italiani (tranne i pochi imbecilli che violeranno le regole), dovranno rinunciare alla processione del Venerdì Santo e alla rappresentazione della Passione di Cristo che, di tanto in tanto, i giovani del paese organizzano, come avvenne due anni fa. La statua della Madonna Addolorata e quella del Cristo Morto, quest’ultima un vero e proprio capolavoro d’arte per la drammaticità che l’effige emana, non potranno attraversare le vie del paese, al ritmo lento e sordo dei passi dei fedeli e al risuonare delle preghiere. Anche questa rinuncia è dovuta al maledetto coronavirus.
A Canepina per moltissimi anni, forse per qualche secolo, si è svolta una rappresentazione “vivente” della Passione di Cristo. Un’appuntamento che, come si vedrà, era considerato “tradizionale” già nel 1519. Quindi è ragionevolmente presumibile che si svolgesse almeno da alcuni decenni. A svelarlo è un atto notarile datato appunto 19 maggio 1519, rogato dal notaio Silvester Dominici Fuzii (Silvestro Domenico di Fuzio), notaio a Canepina per nomina imperiale dal 20 marzo 1485 al 24 agosto 1527 (Archivio di Stato di Viterbo – Archivio Notarile di Canepina – Busta 3, Carta 316r).
Quel giorno, il 19 maggio 1519, si riunì il consiglio comunale di Canepina, con un solo argomento all’ordine del giorno: “Utilizzare le entrate della pescheria per l’annuale e tradizionale rappresentazione della Passione di Cristo”. La riformanza, così si chiamavano le delibere dell’epoca, fu approvata all’unanimità. La pescheria, nel tardo Medioevo e all’inizio del Rinascimento, era costituita da una sorta di parallelepipedo in pietra, con varie scanalature ai lati per far defluire l’acqua. In genere erano poste nei paraggi di una piazza e vicinissime a una fontana. L’ultima “pietra e besce” di Canepina si trovava a ridosso della fontanella di piazza Garibaldi, tuttora presente.
Titolari della pescheria, così come i forni, i molini, le macellerie a altre attività di “pubblica utilità” erano i comuni. Ogni due e tre anni venivano indetti dei bandi pubblici per l’assegnazione della loro gestione a privati, i quali s’impegnavano a versare nelle casse pubbliche una parte degli introiti. I pesci che veniva venduti erano prevalentemente se non esclusivamente d’acqua dolce. All’epoca, infatti, la pesca marina era poco sviluppata, ma soprattutto era complicatissimo trasportare il pesce dalle località di mare ai paesi dell’interno: il rischio che durante il tragitto marcisse era altissimo.
L’atto notarile non svela a quanto ammontasse l’introito annuale della “pietra e besce”, dice solo che da allora in poi verrà totalmente destinato alla rappresentazione della Passione di Cristo. Non è possibile, alla luce delle attuali conoscenze, dire fino a quando la rappresentazione durò. È però certo che si tratti di una delle più antiche della Tuscia. La Via Crucis di Bagnaia, divenuta una delle più celebri d’Italia e probabilmente del Mondo, fu istituita nel 1618 ad opera del medico ternano Michelangelo Carrocci, trapiantato nel borgo per motivi professionali. L’organizzazione era demandata alla Confraternita di San Carlo. Anche a Vetriolo, frazione di Bagnoregio, dove si svolge una delle più spettacolari Via Crucis, è recentissima: risale al 1982.
I riti del Venerdì Santo in tutto il mondo cristiano, quindi anche a Canepina, affondano le loro origini nella pietà popolare verso il Cristo sofferente sviluppatasi fra il 1100 e il 1400. Una devozione mirata a evocare il pellegrinaggio lungo la Via dolorosa a Gerusalemme. Originariamente queste pratiche non avevano una regola fissata dall’autorità ecclesiastiche, ma erano lasciate alle tradizioni e alla pietà locale, in alcuni casi anche alla superstizione. A Canepina, ad esempio, fino a poche decine d’anni fa, si riteneva che l’eventuale sosta della statua della Madonna Addolorata davanti a una casa, magari dovuta semplicemente al cambio dei portatori o a qualunque altro motivo, costituisse un brutto presagio o addirittura il vaticinio di un lutto.
Nel 1731 l’autorità ecclesiastica stabilì come si sarebbero dovute svolgere le processioni e le rievocazioni della Via Crucis: l’incontro di Gesù con la madre, il numero delle cadute, l’incontro con Veronica eccetera. Anche il numero delle “stazioni” e il loro contenuto furono precisati dall’autorità ecclesiastica, la quale, per evitare rotture traumatiche con le tradizioni locali, consentì anche elementi non presenti nei Vangeli.
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